Milano e Torino sono le
città più armate
d’Italia
Nell’ultimo anno i
commercianti ini città
hanno subito più di
2.700 rapine
21 Febbraio 2008
(milano.cronacaqui.it)
Milano,
terrorizzata dalla
criminalità dilagante e
dall’impennata di rapine
negli esercizi pubblici
(che nell’ultimo anno
hanno sfiorato quota
2.700), corre ai ripari.
Insieme a Torino e a
Roma è la metropoli più
“armata” d’Italia. Su un
totale di 10 milioni di
armi legalmente detenute
in Italia, solo
all’ombra della
Madonnina se ne contano
almeno 650mila. Senza
aggiungere, poi, coloro
che acquistano un’arma
(un fucile ad esempio)
per uso venatorio. E,
ovviamente, senza
contare il mercato
clandestino delle armi.
Eppure ottenere la
licenza per il porto
d’armi non è semplice.
Per prima cosa bisogna
compilare un certificato
apposito disponibile
presso gli uffici della
Questura, in cui si
spiega per quale motivo
si vuole ottenere il
porto d’armi.
Quindi, si devono
superare una seria di
esami fisici e
psico-attitudinali per
poter essere ritenuti
idonei. Esami che non
sempre vengono superati
dai richiedenti.
Anzi, dati alla mano
dimostrano che quasi la
metà delle richieste
vengono respinte al
mittente. Una polemica,
quella sul porto d’armi,
rinfocolata tra l’altro
nel gennaio del 2006,
quando il Parlamento ha
approvato la legge sulla
legittima difesa, che
stabilisce il diritto a
sparare agli intrusi in
casa o nel proprio
negozio per difendere
persone e beni, in
presenza di un pericolo
vicino.
Una legge fortemente
voluta dal centrodestra,
che si temeva avrebbe
portato a un aumento
delle richieste di poter
detenere una pistola in
casa.
Malpensa: Formigoni,
"Alitalia unica
compagnia a perderci"
21 Febbraio 2008 (AGR)
"L'unica
compagnia che perde su
Malpensa e' Alitalia, le
altre ci guadagnano". Lo
ha sottolineato a "Radio
anch'io" il presidente
della Regione Lombardia,
Roberto Formigoni. "Alitalia
ha una gestione
sbagliata - ha
proseguito - per i suoi
equipaggi prenota e paga
300 camere di albergo
tutti i giorni".
Naziskin spara in faccia
al padre: fugge in auto
poi si fa arrestare
Tragedia in una casa
popolare dopo l’ora di
cena. I due avevano
litigato, la madre ha
visto tutto
21 Febbraio 2008 (milano.cronacaqui.it)
Tragedia
familiare al Lorenteggio.
Un naziskin ha sparato
due colpi in faccia al
padre uccidendolo sotto
gli occhi della madre.
È successo ieri sera,
intorno alle 22.10, in
una casa popolare dell’Aler
in via dei Gigli 15/9. A
essere finito a colpi di
pistola un uomo di 52
anni, Francesco Celeste,
disoccupato,
pluripregiudicato,
originario di Napoli,
uscito da qualche mese
dal carcere San Vittore,
dove ha scontato una
decina d’anni.
A fare fuoco è stato il
figlio, Luigi, di 23
anni, un naziskin,
completamente tatuato,
anch’egli pregiudicato,
che ha appena finito di
scontare un anno e mezzo
di carcere e uno ai
domiciliari per reati
legati alla sua
ideologia estremista. Il
naziskin dopo aver
assassinato il padre è
corso fuori di casa ed è
scappato sgommando a
bordo della sua Ford
Fiesta. All’origine
dell’omicidio ci sarebbe
stata una lite furibonda
tra i due, cominciata
durante la cena e
degenerata in pochi
minuti.
Francesco Celeste, la
compagna Alice e il
figlio Giovanni, che di
mestiere fa il muratore,
erano ancora in cucina,
quando, al culmine della
discussione animata da
urla e minacce, udite
anche dai vicini, il
figlio sarebbe uscito
dalla stanza per
rientrare dopo pochi
secondi. Pistola in
pugno, avrebbe urlato al
padre: «Ti ammazzo».
Gli ha puntato l’arma
all’altezza del volto e
ha fatto fuoco. Il padre
ha istintivamente alzato
le braccia per
proteggersi il viso: la
prima pallottola lo ha
colpito all’arto
superiore destro, le
altre due, invece, lo
hanno raggiunto al volto
uccidendolo all’istante.
Immediatamente la
compagna ha chiamato
l’ambulanza, ma al suo
arrivo Francesco Celeste
era già morto in un lago
di sangue. Nel frattempo
il figlio ha iniziato a
girare senza meta in
automobile per il
quartiere.
Raggiunto sul cellulare
dai carabinieri, alla
fine, si è arreso e si è
consegnato ai militari
che lo hanno arrestato
vicino a casa.
Uccide il padre, carabinieri
lo convincono a
consegnarsi
21 Febbraio 2008 (AGR)
E' stato
convinto dai carabinieri
a consegnarsi il
ventiduenne che ieri
sera ha ucciso il padre
al termine di una
violenta lite, nel loro
appartamento di Milano.
I militari hanno
raggiunto al cellulare
il ragazzo, che dopo il
delitto era scappato in
auto. Sembra che il
padre, uscito da un anno
dopo 23 di carcere, da
tempo minacciasse la
moglie e i due figli. Il
giovane e' stato
arrestato con l'accusa
di omicidio volontario e
detenzione illegale di
arma da fuoco.
Lavori in via Padova
21 Febbraio 2008 (AGR)
Proseguono i lavori in
via Padova, a Milano,
nel tratto compreso tra
piazzale Cascina Gobba e
via Rizzoli. Si viaggia
solo in direzione del
centro. Alcune linee del
trasporto pubblico
modificano il percorso:
la 44, la 70 e la 75
Marito ucciso da
camion, 100mila euro a
vedova
21 Febbraio 2008 (AGR)
Una vedova sara'
risarcita di 117.094
euro. Lo ha deciso la
decima sezione del
tribunale civile di
Milano. La donna aveva
perso il marito,
travolto da un camion
mentre era sceso
dall'auto ferma per un
guasto. Giuseppina
Prescritti nella causa
faceva riferimento alla
sindrome depressiva
successiva
all'incidente. Il
tribunale ha
riconosciuto il danno
che dovra' venire
risarcito dal guidatore
e del proprietario del
camion. Saranno
risarciti anche i due
figli della vedova, uno
con 100mila euro e
l'altro con 85mila. A
carico delle parti,
infine, le spese
processuali di 21mila
euro.
All'asta la ricerca
sul cancro
21 Febbraio 2008 (AGR)
Se e' arrivato il
momento di rinnovare la
mobilia di casa potete
farlo aiutando la
ricerca contro il
cancro. La casa d'aste
'Il Ponte' donera' alle
attivita' dell'Istituto
Nazionale dei Tumori (Int)
di Milano i ricavati da
mobili e oggetti,
raccolti gratuitamente,
battuti in un'asta il 27
e il 28 maggio nella
sede de Il Ponte, in via
Pitteri 8 a Milano.
Tutto il ricavato, fanno
sapere gli
organizzatori, andra' a
finanziare progetti di
ricerca e cura,
''garantendo aiuti
concreti e continuativi
per lo studio, la
diagnosi precoce e la
cura delle neoplasie, e
per sviluppare e
potenziare le
innovazioni tecnologiche
impiegate
quotidianamente contro i
tumori''. Per
informazioni e per
donazioni di oggetti da
mettere all'asta e'
possibile telefonare
allo 02863141, oppure
scrivere a
info@ponteonline.com
.
Arrestato rapinatore
delle farmacie, sei
colpi in nove giorni
21 Febbraio 2008 (AGR)
Arrestato il rapinatore
delle farmacie. In nove
giorni, tra il 5 e il 14
febbraio, ha rapinato
sei diverse farmacie di
Milano per un bottino di
3 mila euro. Al settimo
tentativo e' stato
catturato da un
poliziotto in una pausa
dal servizio. Il
rapinatore si chiama
Vito Antoniello, 46enne
nato a Ginevra e
residente in provincia
di Aosta.
Dopo esplosione in
appartamento, fugge via
21 Febbraio 2008 (AGR)
Esplosione ieri in un
appartamento a
Gorgonzola, nel
milanese, forse causata
da una fuga di gas. Dopo
lo scoppio, il
proprietario
dell'appartamento e'
fuggito con l'auto di un
passante. E' stato
rintracciato un paio
d'ore dopo dai
carabinieri a Pioltello.
L'esplosione, avvenuta
intorno le 8 mattina, ha
causato gravi danni alle
abitazioni vicine.
Ancora sconosciuti i
motivi della sua fuga
Fermata giovane gang,
rubavano a minorenni
21 Febbraio 2008 (AGR)
Individuata dalla
polizia una giovane
gang, che sarebbe
responsabile di numerose
rapine ai danni di
minorenni. Fermato un
20enne italiano,
pregiudicato. Indagati
in stato di liberta' un
altro ragazzo italiano
di 18 anni e un
marocchino di 22. Le
rapine avevano luogo
vicino alle scuole o
alle fermate dei mezzi
pubblici, in particolare
del tram 15 e
dell'autobus 79. La gang
rubava principalmente
cellulari, lettori mp3 e
denaro. In un caso, il
20enne fermato ha anche
aggredito violentemente
un ragazzo.
Fratellini rumeni costretti
a rubare, due condanne
21 Febbraio 2008 (AGR)
Avevano schiavizzato due
fratelli di dieci anni
costringendoli a rubare
nella zona della
stazione Centrale e a
mendicare ai semafori,
dopo averli comprati da
intermediari che li
avevano a loro volta
'acquistati' dai
genitori. Il gup
Clementina Forleo ha
condannato a tre anni e
mezzo due romeni, e
rinviato a giudizio un
altro straniero per i
reati di riduzione in
schiavitu' e tratta di
persone.
Il fatto avvenuto
nel marzo scorso, a
Magnago, in provincia di
Milano
Tre romeni a giudizio
per stupro barista
In
sei erano entrati nel
locale per rubare
l'incasso. Legata e
picchiata una donna di
70 anni, violentata la
figlia
21 Febbraio 2008
(vivimilano.it)
Il gup di Milano Luisa
Savoia ha rinviato a
giudizio tre romeni
accusati di rapina,
lesioni e violenza
sessuale di gruppo per
un fatto avvenuto il 6
marzo dell'anno scorso
in un bar-tabaccheria di
Magnago, in Provincia di
Milano. Quel giorno un
gruppo di sei romeni,
tra cui un minorenne,
era entrato nel locale
per rapinare l'incasso.
Nel bar c'erano solo le
due titolari, madre e
figlia di 71 e 46 anni,
la prima delle quali fu
legata, imbavagliata e
picchiata, mentre due
componenti della banda
stupravano la seconda.
Il gup Savoia ha
rinviato a giudizio Ion
Stoianovic, che secondo
l'accusa faceva da palo
ma che sarebbe il capo
della banda, Valentin
Diman e Neculai Carp,
entrambi di 21 anni. Per
questi tre il processo
inizierà il 20 maggio
davanti alla quinta
sezione collegiale.
I due autori materiali
dello stupro, Gheorghe
Dumbrava di 22 anni e
Ionut Micea Cutitaru di
21, rei confessi, hanno
chiesto di essere
giudicati in rito
abbreviato e per loro
l'udienza è stata
rinviata al prossimo 11
marzo. L'allora
diciassettenne Ionel
Dragomir, è invece al
vaglio del Tribunale dei
Minori. Quattro romeni,
tra cui l'allora
minorenne, erano stati
arrestati a maggio
dell'anno scorso al
termine di un'indagine
condotta carabinieri di
Monza e di Legnano,
coordinati dal pm della
Dda di Milano Giuseppe
D'Amico, mentre gli
ultimi due erano stati
catturati in seguito in
Romania con un mandato
europeo.
«Ho visto il bus piombarmi
addosso e i vetri del
mio Suv andare in pezzi»
21 Febbraio 2008 (ilgiornale.it)
Le uniche
cose certe, al momento,
sono il Suv che «scarta»
sulla corsia
preferenziale, l’impatto
tra l’autobus e il tram,
i 21 feriti e una donna
che muore nello schianto
in corso di Porta
Vittoria. Le
responsabilità, quelle,
sono ancora da definire.
Ma due dei protagonisti
hanno parlato.
Uno è l’autista della
60, che - sentito lunedì
all’ospedale San Carlo
dove è ricoverato -
ripete che «non ricordo»
e «so solo che ho
sentito un botto
improvviso», ed è allora
che «ho sterzato». Poi,
l’impatto violento con
il 12 che arriva in
senso contrario. L’altro
era al volante della
Porsche Cayenne
coinvolta nell’incidente
di giovedì scorso. Marco
Trabucchi, procuratore
sportivo di 38 anni, al
momento l’unico indagato
con l’accusa di omicidio
colposo. Anche lui ha
sentito un colpo, «ma -
spiega - io ho avuto la
percezione che fosse
l’autobus a venire
contro di me».
Trabucchi è davanti al
pubblico ministero
Cecilia Vassena,
titolare dell’inchiesta.
È la sera stessa
dell’incidente. L’uomo è
ancora sotto choc. Però
ricorda. Immagini, più
che altro, istantanee
confuse che
ricostruiscono
l’impatto. Questo è il
suo racconto.
«Dopo avere oltrepassato
il semaforo - mette a
verbale - ho visto sulla
sinistra in
corrispondenza ad un
marciapiede stretto e
rialzato rispetto al
manto stradale, due
uomini fermi che
parlavano guardandosi
reciprocamente in volto.
Uno dei due ha fatto un
gesto improvviso e io ho
avuto l’impressione che
stesse per attraversare
le strisce pedonali
verso il lato di corso
di Porta Vittoria, dove
si trova la Banca
Popolare di Milano».
«A questo punto -
prosegue - ho sterzato a
sinistra, urtando
l’autobus. Preciso che
secondo la vostra
ricostruzione l’autobus
sarebbe stato urtato da
me, ma io ho avuto la
percezione che fosse
l’autobus a venire
contro di me, non so
però se effettivamente è
andata così. L’unica
cosa che ricordo bene è
che ho visto i vetri
della fiancata sinistra
della mia auto venirmi
addosso. Sono
praticamente certo di
non avere tamponato
alcun veicolo e che
l’impatto è avvenuto con
la fiancata sinistra»,
tanto che «la mia auto è
danneggiata solo sulla
fiancata sinistra e non
davanti». In ogni caso,
al momento
dell’incidente «non
stavo fumando né
telefonando, e la radio
era spenta».Il giorno
dopo, un secondo
interrogatorio.
Trabucchi inizia a
rendersi conto di quello
che è successo. «Quando
sono stato interrogato
ieri - spiega infatti -
non mi ero ancora reso
conto di quello che era
successo. Durante
l’interrogatorio ho
pensato alla dinamica e
a come ricostruire
quanto accaduto. Quando
sono tornato a casa ho
ricevuto dei messaggi
dagli amici ed ho visto
qualcosa su Internet, e
ho capito che era
successo una tragedia. È
stato come se mi fossi
reso conto per la prima
volta di cosa realmente
fosse successo». «Sono
stato molto male e se
lei mi avesse
interrogato quando già
ero a casa, non sarei
probabilmente stato in
grado di spiccicare
parola». «Non sono
andato in ospedale -
conclude - perché il
malessere che avevo non
era fisico, ma
psicologico».
Linate, sulla strage
arriva il colpo di
spugna
21 Febbraio 2008 (ilgiornale.it)
Centodiciotto morti: e
un solo imputato
destinato a finire in
galera, a pagare con il
carcere l’incredibile
catena di sciatterie che
trasformò in un inferno
l’aeroporto di Linate la
mattina del 18 ottobre
2001. Sandro Gualano, ex
amministratore delegato
dell’Enav, verrà portato
in prigione nei prossimi
giorni: appena la
sentenza emessa ieri
dalla Cassazione sarà
arrivata a Milano. Ci
resterà appena sei mesi,
poi anche lui potrà
uscire. Per tutti gli
altri imputati, il conto
finale di quella
tragedia è un conto
simbolico. Non
pagheranno con un solo
giorno di carcere anche
se tutti loro - ciascuno
per la sua piccola,
decisiva parte - hanno
contribuito a mandare il
grande aereo della Sas
piena di gente a
schiantarsi contro il
piccolo Cessna mente
decollava dalla pista
avvolta nella nebbia.
Alle otto di ieri sera
la Quarta sezione penale
della Cassazione mette
la parola fine al
processo per la strage
di Linate. Una breve
camera di consiglio
basta ai giudici per
confermare integralmente
la sentenza con cui il 7
luglio 2006 la Corte
d’appello di Milano
aveva smontato il
processo di primo grado
e l’istruttoria del
pubblico ministero
Celestina Gravina:
assoluzione piena per i
due dirigenti dell’Enac,
Vincenzo Fusco e
Francesco Federico; pena
ridotta da otto a tre
anni per Paolo Zacchetti,
il controllore di volo
che lavorava quella
mattina in torre di
controllo; e blande pene
per gli altri imputati.
Vengono respinti in
pieno i ricorsi che
contro la sentenza
d’appello avevano
presentato non solo le
parti civili ma anche la
Procura generale di
Milano, convinta che una
mano così leggera non
rendesse giustizia al
peggior disastro aereo
della storia del nostro
paese.
Ad attutire
ulteriormente l’impatto
della sentenza
contribuisce l’indulto
approvato dal
Parlamento, che
garantisce tre anni di
sconto a tutti. Ecco
come esce, quindi, il
conto totale:
assoluzione confermata
per Fusco e Federico, i
due di Enac; per il
controllore di volo
Zacchetti tre anni di
carcere, interamente
condonati; tre anni,
azzerati dall’indulto,
anche per i funzionari
della Sea Antonio
Cavanna e Giovanni
Grecchi; quattro anni e
quattro mesi per il
dirigente di Enav Fabio
Marzocca, ridotti
dall’indulto a un anno e
quattro mesi da scontare
in affidamento ai
servizi sociali.
E così, alla fine, resta
a pagare solo lui,
l’ingegnere Sandro
Gualano. In tutti i
gradi di giudizio,
Gualano ha cercato di
sostenere che per lui,
seduto al vertice romano
dell’Enav, era
impossibile occuparsi in
concreto di cosa
accadeva sulle piste di
ogni aeroporto. Ma a
segnare
irrimediabilmente il suo
destino processuale è
stata la storia
maledetta del radar di
terra, quell’attrezzo
che a Linate una volta
c’era e poi si guastò, e
nessuno si preoccupò di
rimpiazzare. Sarebbe
bastato quel radar a
salvare le vite di
tutti. Per questo
Gualano viene condannato
anche dalla Cassazione a
sei anni e mezzo.
L’indulto gliene toglie
tre. Quando avrà
scontato sei mesi di
carcere, anche Gualano
potrà chiedere
l’affidamento in prova.
«Sentenza vergognosa»,
dice Paolo Pettinaroli,
portavoce dei parenti
delle vittime.
Secondo il giudice,
infatti, «non c’è la
prova
dell’intenzionalità» del
gesto attribuito alla
supplente, per la quale
il pm Marco Ghezzi aveva
chiesto una condanna a
quattro mesi con
l’accusa di lesioni
volontarie aggravate
dall’abuso di ruolo.
Contestazione
derubricata dal
tribunale, che contesta
alla maestra «un
comportamento colposo»,
anche in ragione di «un
contesto di reciproca
provocazione con il
bambino disturbatore in
cui il piccolo (un
tunisino di 7 anni, ndr),
anziché azzittirsi di
fronte alla minaccia
della maestra di
“tagliargli la lingua”,
si era fatto più
spavaldo e si era
avvicinato a lei
protendendo la lingua».
E lei, l’insegnante,
«invece di desistere dal
gioco pericoloso per
adottare più idonee
contromisure di
disciplina, si lasciava
coinvolgere dalla sfida,
e permetteva» che il
piccolo «avvicinasse
sempre di più la lingua
alla forbice, che lei
teneva in mano con le
lame aperte, fino a
inserirla fra le
stesse». Insomma, sembra
quasi che sia il bambino
a favorire l’incidente.
La maestra, piuttosto,
tiene un comportamento
imprudente. Genesi di un
episodio sfortunato,
«frutto di
superficialità» e di
«un’inadeguata reazione
della giovane insegnante
all’indisciplina del
bambino», di cui ha
«ingenuamente accettato
le infantili
provocazioni». Anche
perché l’alunno
«presenta tratti di
personalità e
comportamenti peculiari,
con atteggiamenti
ipercinetici, difficoltà
di concentrazione,
indifferenza
all’autorità nel
rapporto con l’adulto».
Alla ragazza, quindi,
viene attribuita la
leggerezza di essere
stata «coinvolta in un
gioco di provocazione»,
«forse confidando
nell’apparente
inefficienza delle lame
che appaiono adatte solo
al taglio della carta».
Per questo, «avrebbe
chiuso le forbici,
applicandovi una modesta
forza», «desistendo
subito dall’azione non
appena resasi conto
delle conseguenze».
Perciò, «sebbene si
tratti di un’azione
materiale volontaria,
deve ritenersi che
l’imputata sia caduta in
errore sulle
potenzialità lesive
dello strumento da lei
maneggiato, errore che
ben poteva essere stato
indotto dall’aver
sperimentato
personalmente, in varie
occasioni del suo lavoro
quotidiano, la non
affilatezza delle lame
di quelle forbici».
Leggerezza che poteva
costare alla maestra una
condanna più pesante. Ma
contro questa sentenza,
il pm già «stupito»
potrebbe ricorrere in
appello.
Tagliò lingua a
bimbo sconto alla
maestra: «Era un
disturbatore»
21 Febbraio 2008 (ilgiornale.it)
Alla lettura della
sentenza, più di un mese
fa, il Pm si era detto
«stupito». La maestra
elementare che il 20
febbraio dell’anno
scorso aveva ferito alla
lingua un alunno di
sette anni con un paio
di forbici era stata
condannata «solo» a due
mesi per lesioni
colpose. E la
perplessità del
magistrato, a leggere le
motivazioni depositate
dal giudice, è destinata
a rinnovarsi. Il
bambino? «Disturbatore»
e «spavaldo». Secondo il
giudice, infatti, «non
c’è la prova
dell’intenzionalità» del
gesto attribuito alla
supplente, per la quale
il pm Marco Ghezzi aveva
chiesto una condanna a
quattro mesi con
l’accusa di lesioni
volontarie aggravate
dall’abuso di ruolo.
Contestazione
derubricata dal
tribunale, che contesta
alla maestra «un
comportamento colposo»,
anche in ragione di «un
contesto di reciproca
provocazione con il
bambino disturbatore in
cui il piccolo (un
tunisino di 7 anni, ndr),
anziché azzittirsi di
fronte alla minaccia
della maestra di
“tagliargli la lingua”,
si era fatto più
spavaldo e si era
avvicinato a lei
protendendo la lingua».
E lei, l’insegnante,
«invece di desistere dal
gioco pericoloso per
adottare più idonee
contromisure di
disciplina, si lasciava
coinvolgere dalla sfida,
e permetteva» che il
piccolo «avvicinasse
sempre di più la lingua
alla forbice, che lei
teneva in mano con le
lame aperte, fino a
inserirla fra le
stesse». Insomma, sembra
quasi che sia il bambino
a favorire l’incidente.
La maestra, piuttosto,
tiene un comportamento
imprudente. Genesi di un
episodio sfortunato,
«frutto di
superficialità» e di
«un’inadeguata reazione
della giovane insegnante
all’indisciplina del
bambino», di cui ha
«ingenuamente accettato
le infantili
provocazioni». Anche
perché l’alunno
«presenta tratti di
personalità e
comportamenti peculiari,
con atteggiamenti
ipercinetici, difficoltà
di concentrazione,
indifferenza
all’autorità nel
rapporto con l’adulto».
Alla ragazza, quindi,
viene attribuita la
leggerezza di essere
stata «coinvolta in un
gioco di provocazione»,
«forse confidando
nell’apparente
inefficienza delle lame
che appaiono adatte solo
al taglio della carta».
Per questo, «avrebbe
chiuso le forbici,
applicandovi una modesta
forza», «desistendo
subito dall’azione non
appena resasi conto
delle conseguenze».
Perciò, «sebbene si
tratti di un’azione
materiale volontaria,
deve ritenersi che
l’imputata sia caduta in
errore sulle
potenzialità lesive
dello strumento da lei
maneggiato, errore che
ben poteva essere stato
indotto dall’aver
sperimentato
personalmente, in varie
occasioni del suo lavoro
quotidiano, la non
affilatezza delle lame
di quelle forbici».
Leggerezza che poteva
costare alla maestra una
condanna più pesante. Ma
contro questa sentenza,
il pm già «stupito»
potrebbe ricorrere in
appello.
Gratosoglio: «Sì ai cinesi
ma via i rom»
21 Febbraio 2008 (ilgiornale.it)
Un
polo del commercio
cinese al Gratosoglio?
La Lega non dice no, ma
propone al sindaco uno
scambio: «La zona 5 ha
già due campi nomadi, un
depuratore, una
mensa-dormitorio per i
barboni, c’è il progetto
dell’inceneritore. Se ci
vogliamo mettere lì
anche i grossisti di via
Sarpi, allora
smantelliamo subito i
campi rom e creiamo un
presidio fisso dei
vigili. E il sindaco
apra un confronto col
quartiere su verde,
sicurezza,
investimenti». Il
capogruppo del Carroccio
Matteo Salvini assicura
però che sulla ztl (zona
a traffico limitato) in
via Paolo Sarpi non ci
saranno dietrofront:
«Non ci fermiamo davanti
alle minacce degli
imprenditori cinesi che
dicono stop all’isola
per tre anni o niente
trasloco. Sono certo che
il consiglio voterà la
nostra mozione e la
giunta dovrà prendere
atto». E la giunta
Moratti deve anche
prendere atto dei timori
dei commercianti e
residenti del quartiere
Gratosoglio: infatti, è
partita con successo la
raccolta di firme di chi
reclama un confronto con
l’amministrazione
comunale. «Siamo stufi
di essere la fogna di
Milano» è il leit motiv
della campagna sostenuta
anche dal consiglio di
zona.