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Milano e Torino sono le città più armate d’Italia
Nell’ultimo anno i commercianti ini città hanno subito più di 2.700 rapine
21 Febbraio 2008 (milano.cronacaqui.it)

   Milano, terrorizzata dalla criminalità dilagante e dall’impennata di rapine negli esercizi pubblici (che nell’ultimo anno hanno sfiorato quota 2.700), corre ai ripari.

Insieme a Torino e a Roma è la metropoli più “armata” d’Italia. Su un totale di 10 milioni di armi legalmente detenute in Italia, solo all’ombra della Madonnina se ne contano almeno 650mila. Senza aggiungere, poi, coloro che acquistano un’arma (un fucile ad esempio) per uso venatorio. E, ovviamente, senza contare il mercato clandestino delle armi.

Eppure ottenere la licenza per il porto d’armi non è semplice. Per prima cosa bisogna compilare un certificato apposito disponibile presso gli uffici della Questura, in cui si spiega per quale motivo si vuole ottenere il porto d’armi.

Quindi, si devono superare una seria di esami fisici e psico-attitudinali per poter essere ritenuti idonei. Esami che non sempre vengono superati dai richiedenti.

Anzi, dati alla mano dimostrano che quasi la metà delle richieste vengono respinte al mittente. Una polemica, quella sul porto d’armi, rinfocolata tra l’altro nel gennaio del 2006, quando il Parlamento ha approvato la legge sulla legittima difesa, che stabilisce il diritto a sparare agli intrusi in casa o nel proprio negozio per difendere persone e beni, in presenza di un pericolo vicino.

Una legge fortemente voluta dal centrodestra, che si temeva avrebbe portato a un aumento delle richieste di poter detenere una pistola in casa.


Malpensa: Formigoni, "Alitalia unica compagnia a perderci"
21 Febbraio 2008 (AGR)

   "L'unica compagnia che perde su Malpensa e' Alitalia, le altre ci guadagnano". Lo ha sottolineato a "Radio anch'io" il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. "Alitalia ha una gestione sbagliata - ha proseguito - per i suoi equipaggi prenota e paga 300 camere di albergo tutti i giorni".


Naziskin spara in faccia al padre: fugge in auto poi si fa arrestare
Tragedia in una casa popolare dopo l’ora di cena. I due avevano litigato, la madre ha visto tutto
21 Febbraio 2008 (milano.cronacaqui.it)
 

   Tragedia familiare al Lorenteggio. Un naziskin ha sparato due colpi in faccia al padre uccidendolo sotto gli occhi della madre.

È successo ieri sera, intorno alle 22.10, in una casa popolare dell’Aler in via dei Gigli 15/9. A essere finito a colpi di pistola un uomo di 52 anni, Francesco Celeste, disoccupato, pluripregiudicato, originario di Napoli, uscito da qualche mese dal carcere San Vittore, dove ha scontato una decina d’anni.

A fare fuoco è stato il figlio, Luigi, di 23 anni, un naziskin, completamente tatuato, anch’egli pregiudicato, che ha appena finito di scontare un anno e mezzo di carcere e uno ai domiciliari per reati legati alla sua ideologia estremista. Il naziskin dopo aver assassinato il padre è corso fuori di casa ed è scappato sgommando a bordo della sua Ford Fiesta. All’origine dell’omicidio ci sarebbe stata una lite furibonda tra i due, cominciata durante la cena e degenerata in pochi minuti.

Francesco Celeste, la compagna Alice e il figlio Giovanni, che di mestiere fa il muratore, erano ancora in cucina, quando, al culmine della discussione animata da urla e minacce, udite anche dai vicini, il figlio sarebbe uscito dalla stanza per rientrare dopo pochi secondi. Pistola in pugno, avrebbe urlato al padre: «Ti ammazzo».

Gli ha puntato l’arma all’altezza del volto e ha fatto fuoco. Il padre ha istintivamente alzato le braccia per proteggersi il viso: la prima pallottola lo ha colpito all’arto superiore destro, le altre due, invece, lo hanno raggiunto al volto uccidendolo all’istante. Immediatamente la compagna ha chiamato l’ambulanza, ma al suo arrivo Francesco Celeste era già morto in un lago di sangue. Nel frattempo il figlio ha iniziato a girare senza meta in automobile per il quartiere.

Raggiunto sul cellulare dai carabinieri, alla fine, si è arreso e si è consegnato ai militari che lo hanno arrestato vicino a casa.


Uccide il padre, carabinieri lo convincono a consegnarsi
21 Febbraio 2008 (AGR)

   E' stato convinto dai carabinieri a consegnarsi il ventiduenne che ieri sera ha ucciso il padre al termine di una violenta lite, nel loro appartamento di Milano. I militari hanno raggiunto al cellulare il ragazzo, che dopo il delitto era scappato in auto. Sembra che il padre, uscito da un anno dopo 23 di carcere, da tempo minacciasse la moglie e i due figli. Il giovane e' stato arrestato con l'accusa di omicidio volontario e detenzione illegale di arma da fuoco.


Lavori in via Padova
21 Febbraio 2008 (AGR)

   Proseguono i lavori in via Padova, a Milano, nel tratto compreso tra piazzale Cascina Gobba e via Rizzoli. Si viaggia solo in direzione del centro. Alcune linee del trasporto pubblico modificano il percorso: la 44, la 70 e la 75


Marito ucciso da camion, 100mila euro a vedova
21 Febbraio 2008 (AGR)

   Una vedova sara' risarcita di 117.094 euro. Lo ha deciso la decima sezione del tribunale civile di Milano. La donna aveva perso il marito, travolto da un camion mentre era sceso dall'auto ferma per un guasto. Giuseppina Prescritti nella causa faceva riferimento alla sindrome depressiva successiva all'incidente. Il tribunale ha riconosciuto il danno che dovra' venire risarcito dal guidatore e del proprietario del camion. Saranno risarciti anche i due figli della vedova, uno con 100mila euro e l'altro con 85mila. A carico delle parti, infine, le spese processuali di 21mila euro.


All'asta la ricerca sul cancro
21 Febbraio 2008 (AGR)

   Se e' arrivato il momento di rinnovare la mobilia di casa potete farlo aiutando la ricerca contro il cancro. La casa d'aste 'Il Ponte' donera' alle attivita' dell'Istituto Nazionale dei Tumori (Int) di Milano i ricavati da mobili e oggetti, raccolti gratuitamente, battuti in un'asta il 27 e il 28 maggio nella sede de Il Ponte, in via Pitteri 8 a Milano. Tutto il ricavato, fanno sapere gli organizzatori, andra' a finanziare progetti di ricerca e cura, ''garantendo aiuti concreti e continuativi per lo studio, la diagnosi precoce e la cura delle neoplasie, e per sviluppare e potenziare le innovazioni tecnologiche impiegate quotidianamente contro i tumori''. Per informazioni e per donazioni di oggetti da mettere all'asta e' possibile telefonare allo 02863141, oppure scrivere a info@ponteonline.com .


Arrestato rapinatore delle farmacie, sei colpi in nove giorni
21 Febbraio 2008 (AGR)

   Arrestato il rapinatore delle farmacie. In nove giorni, tra il 5 e il 14 febbraio, ha rapinato sei diverse farmacie di Milano per un bottino di 3 mila euro. Al settimo tentativo e' stato catturato da un poliziotto in una pausa dal servizio. Il rapinatore si chiama Vito Antoniello, 46enne nato a Ginevra e residente in provincia di Aosta.


Dopo esplosione in appartamento, fugge via
21 Febbraio 2008 (AGR)

   Esplosione ieri in un appartamento a Gorgonzola, nel milanese, forse causata da una fuga di gas. Dopo lo scoppio, il proprietario dell'appartamento e' fuggito con l'auto di un passante. E' stato rintracciato un paio d'ore dopo dai carabinieri a Pioltello. L'esplosione, avvenuta intorno le 8 mattina, ha causato gravi danni alle abitazioni vicine. Ancora sconosciuti i motivi della sua fuga


Fermata giovane gang, rubavano a minorenni
21 Febbraio 2008 (AGR)

   Individuata dalla polizia una giovane gang, che sarebbe responsabile di numerose rapine ai danni di minorenni. Fermato un 20enne italiano, pregiudicato. Indagati in stato di liberta' un altro ragazzo italiano di 18 anni e un marocchino di 22. Le rapine avevano luogo vicino alle scuole o alle fermate dei mezzi pubblici, in particolare del tram 15 e dell'autobus 79. La gang rubava principalmente cellulari, lettori mp3 e denaro. In un caso, il 20enne fermato ha anche aggredito violentemente un ragazzo.


Fratellini rumeni costretti a rubare, due condanne
21 Febbraio 2008 (AGR)

   Avevano schiavizzato due fratelli di dieci anni costringendoli a rubare nella zona della stazione Centrale e a mendicare ai semafori, dopo averli comprati da intermediari che li avevano a loro volta 'acquistati' dai genitori. Il gup Clementina Forleo ha condannato a tre anni e mezzo due romeni, e rinviato a giudizio un altro straniero per i reati di riduzione in schiavitu' e tratta di persone.


Il fatto avvenuto nel marzo scorso, a Magnago, in provincia di Milano Tre romeni a giudizio per stupro barista
In sei erano entrati nel locale per rubare l'incasso. Legata e picchiata una donna di 70 anni, violentata la figlia
21 Febbraio 2008 (vivimilano.it)

   Il gup di Milano Luisa Savoia ha rinviato a giudizio tre romeni accusati di rapina, lesioni e violenza sessuale di gruppo per un fatto avvenuto il 6 marzo dell'anno scorso in un bar-tabaccheria di Magnago, in Provincia di Milano. Quel giorno un gruppo di sei romeni, tra cui un minorenne, era entrato nel locale per rapinare l'incasso. Nel bar c'erano solo le due titolari, madre e figlia di 71 e 46 anni, la prima delle quali fu legata, imbavagliata e picchiata, mentre due componenti della banda stupravano la seconda. Il gup Savoia ha rinviato a giudizio Ion Stoianovic, che secondo l'accusa faceva da palo ma che sarebbe il capo della banda, Valentin Diman e Neculai Carp, entrambi di 21 anni. Per questi tre il processo inizierà il 20 maggio davanti alla quinta sezione collegiale.

I due autori materiali dello stupro, Gheorghe Dumbrava di 22 anni e Ionut Micea Cutitaru di 21, rei confessi, hanno chiesto di essere giudicati in rito abbreviato e per loro l'udienza è stata rinviata al prossimo 11 marzo. L'allora diciassettenne Ionel Dragomir, è invece al vaglio del Tribunale dei Minori. Quattro romeni, tra cui l'allora minorenne, erano stati arrestati a maggio dell'anno scorso al termine di un'indagine condotta carabinieri di Monza e di Legnano, coordinati dal pm della Dda di Milano Giuseppe D'Amico, mentre gli ultimi due erano stati catturati in seguito in Romania con un mandato europeo.

 


«Ho visto il bus piombarmi addosso e i vetri del mio Suv andare in pezzi»
21 Febbraio 2008 (ilgiornale.it)

   Le uniche cose certe, al momento, sono il Suv che «scarta» sulla corsia preferenziale, l’impatto tra l’autobus e il tram, i 21 feriti e una donna che muore nello schianto in corso di Porta Vittoria. Le responsabilità, quelle, sono ancora da definire. Ma due dei protagonisti hanno parlato.
Uno è l’autista della 60, che - sentito lunedì all’ospedale San Carlo dove è ricoverato - ripete che «non ricordo» e «so solo che ho sentito un botto improvviso», ed è allora che «ho sterzato». Poi, l’impatto violento con il 12 che arriva in senso contrario. L’altro era al volante della Porsche Cayenne coinvolta nell’incidente di giovedì scorso. Marco Trabucchi, procuratore sportivo di 38 anni, al momento l’unico indagato con l’accusa di omicidio colposo. Anche lui ha sentito un colpo, «ma - spiega - io ho avuto la percezione che fosse l’autobus a venire contro di me».
Trabucchi è davanti al pubblico ministero Cecilia Vassena, titolare dell’inchiesta. È la sera stessa dell’incidente. L’uomo è ancora sotto choc. Però ricorda. Immagini, più che altro, istantanee confuse che ricostruiscono l’impatto. Questo è il suo racconto.
«Dopo avere oltrepassato il semaforo - mette a verbale - ho visto sulla sinistra in corrispondenza ad un marciapiede stretto e rialzato rispetto al manto stradale, due uomini fermi che parlavano guardandosi reciprocamente in volto. Uno dei due ha fatto un gesto improvviso e io ho avuto l’impressione che stesse per attraversare le strisce pedonali verso il lato di corso di Porta Vittoria, dove si trova la Banca Popolare di Milano».
«A questo punto - prosegue - ho sterzato a sinistra, urtando l’autobus. Preciso che secondo la vostra ricostruzione l’autobus sarebbe stato urtato da me, ma io ho avuto la percezione che fosse l’autobus a venire contro di me, non so però se effettivamente è andata così. L’unica cosa che ricordo bene è che ho visto i vetri della fiancata sinistra della mia auto venirmi addosso. Sono praticamente certo di non avere tamponato alcun veicolo e che l’impatto è avvenuto con la fiancata sinistra», tanto che «la mia auto è danneggiata solo sulla fiancata sinistra e non davanti». In ogni caso, al momento dell’incidente «non stavo fumando né telefonando, e la radio era spenta».Il giorno dopo, un secondo interrogatorio. Trabucchi inizia a rendersi conto di quello che è successo. «Quando sono stato interrogato ieri - spiega infatti - non mi ero ancora reso conto di quello che era successo. Durante l’interrogatorio ho pensato alla dinamica e a come ricostruire quanto accaduto. Quando sono tornato a casa ho ricevuto dei messaggi dagli amici ed ho visto qualcosa su Internet, e ho capito che era successo una tragedia. È stato come se mi fossi reso conto per la prima volta di cosa realmente fosse successo». «Sono stato molto male e se lei mi avesse interrogato quando già ero a casa, non sarei probabilmente stato in grado di spiccicare parola». «Non sono andato in ospedale - conclude - perché il malessere che avevo non era fisico, ma psicologico».


Linate, sulla strage arriva il colpo di spugna
21 Febbraio 2008 (ilgiornale.it)

    Centodiciotto morti: e un solo imputato destinato a finire in galera, a pagare con il carcere l’incredibile catena di sciatterie che trasformò in un inferno l’aeroporto di Linate la mattina del 18 ottobre 2001. Sandro Gualano, ex amministratore delegato dell’Enav, verrà portato in prigione nei prossimi giorni: appena la sentenza emessa ieri dalla Cassazione sarà arrivata a Milano. Ci resterà appena sei mesi, poi anche lui potrà uscire. Per tutti gli altri imputati, il conto finale di quella tragedia è un conto simbolico. Non pagheranno con un solo giorno di carcere anche se tutti loro - ciascuno per la sua piccola, decisiva parte - hanno contribuito a mandare il grande aereo della Sas piena di gente a schiantarsi contro il piccolo Cessna mente decollava dalla pista avvolta nella nebbia.

Alle otto di ieri sera la Quarta sezione penale della Cassazione mette la parola fine al processo per la strage di Linate. Una breve camera di consiglio basta ai giudici per confermare integralmente la sentenza con cui il 7 luglio 2006 la Corte d’appello di Milano aveva smontato il processo di primo grado e l’istruttoria del pubblico ministero Celestina Gravina: assoluzione piena per i due dirigenti dell’Enac, Vincenzo Fusco e Francesco Federico; pena ridotta da otto a tre anni per Paolo Zacchetti, il controllore di volo che lavorava quella mattina in torre di controllo; e blande pene per gli altri imputati. Vengono respinti in pieno i ricorsi che contro la sentenza d’appello avevano presentato non solo le parti civili ma anche la Procura generale di Milano, convinta che una mano così leggera non rendesse giustizia al peggior disastro aereo della storia del nostro paese.

Ad attutire ulteriormente l’impatto della sentenza contribuisce l’indulto approvato dal Parlamento, che garantisce tre anni di sconto a tutti. Ecco come esce, quindi, il conto totale: assoluzione confermata per Fusco e Federico, i due di Enac; per il controllore di volo Zacchetti tre anni di carcere, interamente condonati; tre anni, azzerati dall’indulto, anche per i funzionari della Sea Antonio Cavanna e Giovanni Grecchi; quattro anni e quattro mesi per il dirigente di Enav Fabio Marzocca, ridotti dall’indulto a un anno e quattro mesi da scontare in affidamento ai servizi sociali.
E così, alla fine, resta a pagare solo lui, l’ingegnere Sandro Gualano. In tutti i gradi di giudizio, Gualano ha cercato di sostenere che per lui, seduto al vertice romano dell’Enav, era impossibile occuparsi in concreto di cosa accadeva sulle piste di ogni aeroporto. Ma a segnare irrimediabilmente il suo destino processuale è stata la storia maledetta del radar di terra, quell’attrezzo che a Linate una volta c’era e poi si guastò, e nessuno si preoccupò di rimpiazzare. Sarebbe bastato quel radar a salvare le vite di tutti. Per questo Gualano viene condannato anche dalla Cassazione a sei anni e mezzo. L’indulto gliene toglie tre. Quando avrà scontato sei mesi di carcere, anche Gualano potrà chiedere l’affidamento in prova. «Sentenza vergognosa», dice Paolo Pettinaroli, portavoce dei parenti delle vittime.

Secondo il giudice, infatti, «non c’è la prova dell’intenzionalità» del gesto attribuito alla supplente, per la quale il pm Marco Ghezzi aveva chiesto una condanna a quattro mesi con l’accusa di lesioni volontarie aggravate dall’abuso di ruolo. Contestazione derubricata dal tribunale, che contesta alla maestra «un comportamento colposo», anche in ragione di «un contesto di reciproca provocazione con il bambino disturbatore in cui il piccolo (un tunisino di 7 anni, ndr), anziché azzittirsi di fronte alla minaccia della maestra di “tagliargli la lingua”, si era fatto più spavaldo e si era avvicinato a lei protendendo la lingua». E lei, l’insegnante, «invece di desistere dal gioco pericoloso per adottare più idonee contromisure di disciplina, si lasciava coinvolgere dalla sfida, e permetteva» che il piccolo «avvicinasse sempre di più la lingua alla forbice, che lei teneva in mano con le lame aperte, fino a inserirla fra le stesse». Insomma, sembra quasi che sia il bambino a favorire l’incidente. La maestra, piuttosto, tiene un comportamento imprudente. Genesi di un episodio sfortunato, «frutto di superficialità» e di «un’inadeguata reazione della giovane insegnante all’indisciplina del bambino», di cui ha «ingenuamente accettato le infantili provocazioni». Anche perché l’alunno «presenta tratti di personalità e comportamenti peculiari, con atteggiamenti ipercinetici, difficoltà di concentrazione, indifferenza all’autorità nel rapporto con l’adulto».
Alla ragazza, quindi, viene attribuita la leggerezza di essere stata «coinvolta in un gioco di provocazione», «forse confidando nell’apparente inefficienza delle lame che appaiono adatte solo al taglio della carta». Per questo, «avrebbe chiuso le forbici, applicandovi una modesta forza», «desistendo subito dall’azione non appena resasi conto delle conseguenze». Perciò, «sebbene si tratti di un’azione materiale volontaria, deve ritenersi che l’imputata sia caduta in errore sulle potenzialità lesive dello strumento da lei maneggiato, errore che ben poteva essere stato indotto dall’aver sperimentato personalmente, in varie occasioni del suo lavoro quotidiano, la non affilatezza delle lame di quelle forbici». Leggerezza che poteva costare alla maestra una condanna più pesante. Ma contro questa sentenza, il pm già «stupito» potrebbe ricorrere in appello.


Tagliò lingua a bimbo sconto alla maestra: «Era un disturbatore»
21 Febbraio 2008 (ilgiornale.it)

   Alla lettura della sentenza, più di un mese fa, il Pm si era detto «stupito». La maestra elementare che il 20 febbraio dell’anno scorso aveva ferito alla lingua un alunno di sette anni con un paio di forbici era stata condannata «solo» a due mesi per lesioni colpose. E la perplessità del magistrato, a leggere le motivazioni depositate dal giudice, è destinata a rinnovarsi. Il bambino? «Disturbatore» e «spavaldo». Secondo il giudice, infatti, «non c’è la prova dell’intenzionalità» del gesto attribuito alla supplente, per la quale il pm Marco Ghezzi aveva chiesto una condanna a quattro mesi con l’accusa di lesioni volontarie aggravate dall’abuso di ruolo. Contestazione derubricata dal tribunale, che contesta alla maestra «un comportamento colposo», anche in ragione di «un contesto di reciproca provocazione con il bambino disturbatore in cui il piccolo (un tunisino di 7 anni, ndr), anziché azzittirsi di fronte alla minaccia della maestra di “tagliargli la lingua”, si era fatto più spavaldo e si era avvicinato a lei protendendo la lingua». E lei, l’insegnante, «invece di desistere dal gioco pericoloso per adottare più idonee contromisure di disciplina, si lasciava coinvolgere dalla sfida, e permetteva» che il piccolo «avvicinasse sempre di più la lingua alla forbice, che lei teneva in mano con le lame aperte, fino a inserirla fra le stesse». Insomma, sembra quasi che sia il bambino a favorire l’incidente. La maestra, piuttosto, tiene un comportamento imprudente. Genesi di un episodio sfortunato, «frutto di superficialità» e di «un’inadeguata reazione della giovane insegnante all’indisciplina del bambino», di cui ha «ingenuamente accettato le infantili provocazioni». Anche perché l’alunno «presenta tratti di personalità e comportamenti peculiari, con atteggiamenti ipercinetici, difficoltà di concentrazione, indifferenza all’autorità nel rapporto con l’adulto».
Alla ragazza, quindi, viene attribuita la leggerezza di essere stata «coinvolta in un gioco di provocazione», «forse confidando nell’apparente inefficienza delle lame che appaiono adatte solo al taglio della carta». Per questo, «avrebbe chiuso le forbici, applicandovi una modesta forza», «desistendo subito dall’azione non appena resasi conto delle conseguenze». Perciò, «sebbene si tratti di un’azione materiale volontaria, deve ritenersi che l’imputata sia caduta in errore sulle potenzialità lesive dello strumento da lei maneggiato, errore che ben poteva essere stato indotto dall’aver sperimentato personalmente, in varie occasioni del suo lavoro quotidiano, la non affilatezza delle lame di quelle forbici». Leggerezza che poteva costare alla maestra una condanna più pesante. Ma contro questa sentenza, il pm già «stupito» potrebbe ricorrere in appello.


Gratosoglio: «Sì ai cinesi ma via i rom»
21 Febbraio 2008 (ilgiornale.it)

Un polo del commercio cinese al Gratosoglio? La Lega non dice no, ma propone al sindaco uno scambio: «La zona 5 ha già due campi nomadi, un depuratore, una mensa-dormitorio per i barboni, c’è il progetto dell’inceneritore. Se ci vogliamo mettere lì anche i grossisti di via Sarpi, allora smantelliamo subito i campi rom e creiamo un presidio fisso dei vigili. E il sindaco apra un confronto col quartiere su verde, sicurezza, investimenti». Il capogruppo del Carroccio Matteo Salvini assicura però che sulla ztl (zona a traffico limitato) in via Paolo Sarpi non ci saranno dietrofront: «Non ci fermiamo davanti alle minacce degli imprenditori cinesi che dicono stop all’isola per tre anni o niente trasloco. Sono certo che il consiglio voterà la nostra mozione e la giunta dovrà prendere atto». E la giunta Moratti deve anche prendere atto dei timori dei commercianti e residenti del quartiere Gratosoglio: infatti, è partita con successo la raccolta di firme di chi reclama un confronto con l’amministrazione comunale. «Siamo stufi di essere la fogna di Milano» è il leit motiv della campagna sostenuta anche dal consiglio di zona.

 


 

 

 

 

 

 

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